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I Classici del Cinema – Quarto Potere

I Classici del Cinema – Quarto Potere

L’American Film Institute lo ha nominato il miglior film di tutti i tempi. La leggenda di Quarto Potere [1940] nasce ancor prima della sua realizzazione, quando ad un giovanissimo regista, giunto dal teatro e dalla radio, la RKO decide di concedere una libertà d’espressione senza precedenti. Il magnate dell’editoria William Hearst, alla cui vita il film si ispira, muove mari e monti per fermare la realizzazione della pellicola e, non riuscendoci, mette in campo il suo enorme potere mediatico per tentare di screditarla. Ma al di là di questo, Quarto potere è di straordinario interesse per innumerevoli ragioni. Il film narra una grande storia: Charles Foster Kane [interpretato in modo brillante dallo stesso Orson Welles] è nato povero, ma diventa ricco grazie ad una miniera d’oro ricevuta in eredità. Inizia a mettere in piedi un impero di giornali e radio populisti, candidandosi anche a governatore. La conquista di un potere più solido però non riesce e Kane diventa sempre più dispotico e misantropo, fino a morire in solitudine in una sorta di castello mai terminato.

Il film inizia con la sua morte e con la sua ultima enigmatica parola: “Rosabella“, a cui un gruppo di reporter cerca di dar conto intervistando molte delle conoscenze del magnate. Tutta la vicenda è quindi raccontata per flashback, secondo il punto di vista degli intervistati, in una complessità narrativa assolutamente inedita per Hollywood. Inoltre una vera rivoluzione del film sta nelle sue riprese: prima di Quarto Potere lo stile fotografico vigente si basava sull’uso di un’illuminazione diffusa e del flou. Una tipica sequenza consisteva in un campo lungo o medio introduttivo, inframmezzato da primi piani in cui venivano mostrati i dettagli. Welles invece, attraverso una nuova tecnologia per cui il primo piano, il mezzo campo e lo sfondo risultano tutti a fuoco nello stesso tempo, consente allo spettatore di scrutare ogni parte dell’inquadratura come mai successo prima di allora. L’unicità di questo capolavoro è quindi data dall’uso radicalmente nuovo delle tecniche di narrazione, dalla fotografia, agli effetti del sonoro, al montaggio.

I Classici del Cinema – Rebecca, la Prima Moglie

I Classici del Cinema – Rebecca, la Prima Moglie

«La scorsa notte ho sognato di essere tornata a Manderley». Così inizia Rebecca, la Prima Moglie [1940], con un suggestivo prologo di 2 minuti raccontato dalla voce fuori campo della protagonista, a cui fa seguito un lunghissimo flashback che compone il resto del film. Una giovane e timida dama di compagnia sposa Maxim De Winter, un ricchissimo gentiluomo inglese e si trasferisce nella sua dimora, lo spettrale castello di Manderlay. Qui deve affrontare l’ostilità della signora Danvers, la gelida governante che vive nell’adorazione morbosa per la prima moglie del padrone. Il ricordo ossessivo di Rebecca e il mistero che circonda la sua tragica morte spingeranno la giovane sull’orlo della pazzia. Tratta – come sarà anche per Gli Uccelli – da un romanzo di Daphne du Maurier, la pellicola è uno dei massimi capolavori di Alfred Hitchcock, qui alla prima prova negli Stati Uniti. L’unica – strano a dirsi – capace di conquistare l’Oscar come miglior film.

Il regista introduce da subito il tema del sogno e stabilisce l’atmosfera onirica che pervade tutto il film, riuscendo a stemperare le tonalità melò del romanzo, con la suspence del giallo ed il gotico dell’ambientazione. La narrazione, frutto dei ricordi della seconda signora De Winter [a cui un’indimenticabile Joan Fontaine conferisce la perfetta dose di vulnerabilità ed insicurezza], è funzionale ad instaurare un clima obliquo di paranoia, all’interno di una cornice apparentemente romantica. Rebecca, la prima moglie è in effetti un formidabile gioco di apparenze ed inganni. Nulla e nessuno sono ciò che sembrano, tutto è equivoco, ambiguo. Il film stesso, che – come detto – coincide con il racconto che fa il personaggio della Fontaine, non può, per questo motivo, rispondere ai criteri oggettivi della realtà. I contenuti presenti, a cominciare proprio da quello del “doppio” [sviluppato successivamente in lavori come La Donna che Visse Due Volte e in Delitto per Delitto], per andare poi al condizionamento del passato, all’innocente accusato ingiustamente, al senso di colpa, al sogno, sono già quelli tipici della filmografia hitchcockiana. Il regista inglese, come poi succederà con il motel di Norman Bates in Psycho, connota il castello di Manderley di una tale forza da renderlo a tutti gli effetti un personaggio centrale della storia, capace di custodire i segreti di Rebecca – così incredibilmente presente nella sua assenza – e permeare l’intreccio di un’opprimente atmosfera da favola nera. Magistrale è la regia, estremamente raffinata nella messa in scena e abilissima nell’evidenziare la complessità psicologica della storia.

Gli Anni 40 al Cinema

Gli Anni 40 al Cinema

Gli Anni 40 – un decennio di transizione che accompagna la Hollywood classica degli anni precedenti sino a nuove tendenze realiste – si aprono con Quarto Potere di Orson Welles, un capolavoro senza tempo che rivoluziona il modo di far cinema sia nello stile che nel linguaggio. Innovazioni che influenzano i tratti distintivi del genere noir, che si impone a partire dal 1941 con Il mistero del falco di John Huston e successivamente con opere come La fiamma del peccato di Billy Wilder, giunto negli Stati Uniti dall’Austria per sfuggire alle persecuzioni naziste. Per lo stesso motivo in quegli anni sbarcano ad Hollywood diversi grandi autori europei, fra cui l’inglese Alfred Hitchcock, che dirige alcune pellicole indimenticabili, come Notorious e Rebecca, la prima moglie. La seconda guerra mondiale provoca un generale cambiamento di tono nei film americani, commedie comprese, le quali finiscono col perdere quella patina dorata tipica degli Anni 30 per introdurre temi ed aspetti più controversi. In questo contesto si inseriscono perfettamente le due perle di Frank Capra: La vita è meravigliosa ed Arsenico e vecchi merletti. Nascono i film anti tedeschi di cui Casablanca di Michael Curtiz rappresenta il momento più memorabile. Anche il genere western, tornato in auge in questo periodo, presenta una maggiore analisi psicologica dei personaggi che vengono ritratti in modo piu chiaroscurale, come nel caso del magnifico Il fiume rosso di Howard Hawks.

Inizio con questo una serie di post che elencano i miei film preferiti per ogni decennio. Non necessariamente i più belli o significativi, ma quelli a cui sono più legato.