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I Classici del Cinema – Rosemary’s Baby

I Classici del Cinema – Rosemary’s Baby

La vicenda narrata è quella di una coppia [Mia Farrow e John Cassavetes] che si trasferisce in un appartamento di New York e scopre di essere vittima di una setta satanica che congiura contro il bimbo che la donna porta in grembo, aiutata in questo dal marito. Rosemary’s Baby [1968] di Roman Polanski è uno degli horror più riusciti della Storia del Cinema, in cui si ritrovano molti dei temi tipici del regista polacco: il tradimento, la corruzione, i confini della normalità, il disagio interiore. Ha avuto un successo tale da dare origine ad una serie di lungometraggi sull’occulto che è durata per tutto il decennio successivo.

Il suo aspetto più impressionante non è tanto la connotazione demoniaca, quanto piuttosto il fatto di essere calato in un’ambientazione quotidiana ed estremamente realistica, così da scatenare le paure più ataviche. Il tradimento del marito suggerisce l’idea che familiari ed amici possano trasformarsi nei nostri peggiori nemici. La protagonista scopre infatti di non conoscere le persone che la circondano e di non potersi fidare di nessuno, ritrovandosi senza alcuna protezione contro il male che ha invaso la sua vita. Manipolando le nostre paure esistenziali Polanski ha realizzato un capolavoro angosciante, con un cast magistrale, una colonna sonora indovinata, una sceneggiatura costruita con assoluta maestria ed una regia perfetta che fa intuire il male, senza però mai mostrarlo. Un lavoro indimenticabile in cui risulta impossibile non identificarsi con Rosemary e non pensare: «Potrebbe succedere anche a me». Negli anni il film ha assunto una fama particolarmente sinistra. Quasi sia stato profetico, è parso rimandare prima di tutto allo spietato assassinio della moglie di Polanski, Sharon Tate, incinta di 8 mesi, avvenuto nel 1969. Quindi all’omicidio di John Lennon del 1980, occorso proprio davanti al palazzo in cui la pellicola è ambientata.

Gli Anni 60 al Cinema

Gli Anni 60 al Cinema

Negli Anni 60 i grandi studios americani vivono un progressivo declino, che arriva ad assumere le proporzioni di una bancarotta. La televisione sottrae milioni di dollari al mondo del Cinema, costringendo le majors a licenziamenti di massa. Perdipiù questi sono anni in cui società e mercato subiscono profonde trasformazioni. Il cambiamento nei gusti degli spettatori è la molla che apre la strada ad una nuova generazione di registi, fra cui Stanley Kubrik [con capolavori come Il Dottor Stranamore e 2001: Odissea nello Spazio], Roman Polansky [Rosemary’s Baby e Repulsion] e Blake Edwards [Colazione da Tiffany, La Pantera Rosa, Hollywood Party]. Vecchi e gloriosi autori come Alfred Hitchcock, Billy Wilder e John Ford hanno giusto il tempo per alcuni straordinari colpi di coda [Psycho, Gli Uccelli, L’Appartamento e L’Uomo che uccise Liberty Valance] prima di essere soppiantati – a partire dalla seconda metà del decennio – da un nuovo linguaggio e da un processo di revisione dei classici, che solo qualche anno prima sarebbe stato impensabile.

Tali trasformazioni sono anche una reazione ai cambiamenti in atto in Europa. La Nouvelle Vague francese infatti esercita una notevole influenza sul cinema americano. Altrettanto si può dire a proposito del nuovo cinema d’autore italiano, guidato da registi come Fellini ed Antonioni, e del formidabile lavoro di Sergio Leone, in grado – da solo – di riscrivere completamente l’epopea del genere western. Tutto questo mentre la migliore commedia all’italiana [quella di Dino Risi e dei suoi Una Vita Difficile e Il Sorpasso, e quella dei vari Monicelli, Germi, Comencini, ecc.] guadagna una crescente considerazione internazionale.