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Di Arte, Cinema, Noia, Malick e Von Trier

Di Arte, Cinema, Noia, Malick e Von Trier

Il film più brutto che ho visto quest’anno è The Tree of Life di Terrence Malick. Un autore con un’idea di cinema pretenziosa, infarcita di simbolismi più o meno criptici, di intellettualismi privi di consistenza, di filosofeggiamenti new-age sui massimi sistemi e sul senso dell’esistenza. Un Cinema che è inutile esercizio di pedanteria, e che stabilisce un rapporto diretto e proporzionale fra la [presunta] profondità delle tematiche affrontate e la pesantezza della pellicola che le sostiene. Un Cinema – e questo è l’aspetto peggiore – che non solo separa il regime narrativo da quello propriamente visivo, ma che si spinge a negare il primo a favore del secondo, finendo quindi col rigettare l’essenza stessa del Cinema, che è quella del racconto per immagini. L’Arte è comunicazione, ed il Cinema – che è l’Arte popolare per eccellenza – è intrattenimento. La sfida è intrattenere comunicando in modo intelligente e colto. Ma se invece si sceglie deliberatamente di fare a meno del ponte che deve sussistere fra autore e fruitore, o di realizzarlo in modo che questo arrivi ad un numero esiguo di persone, si compie un’operazione che è sleale e fasulla.

Il danese Lars Von Trier ha affermato che lui non fa cinema per gli altri, ma solo per se stesso. Ed è proprio questa sorta di assoluto onanismo autoriale ad ascrivere Melancholia allo stesso tipo di esercizio artificoso e velleitario descritto per Malick. I loro due lavori, entrambi inopinatamente premiati all’ultimo Festival di Cannes [miglior film Malick, migliore attrice Von Trier], presentano diversi aspetti comuni, oltre quello di avermi profondamente annoiato. Sia l’uno che l’altro mettono in parallelo il particolare della vita delle persone con l’universale dei grandi eventi astrali. E mentre Malick realizza uno sfinente videoclip a base di musica classica, Von Trier si impegna ad essere più narrativo, ma con risultati altrettanto deludenti. La sceneggiatura abbozzata e farraginosa non approfondisce mai nessuno snodo di una vicenda di per sè già oltremodo banale. Situazioni e dialoghi imbarazzanti sono nella migliore delle ipotesi frutto della dichiarata depressione del regista, se non dell’assunzione di sostanze forse lecite e forse no. Probabilmente le stesse che durante la conferenza stampa di presentazione del film lo hanno portato a sostenere di simpatizzare per Hitler.